(di Massimo De Simoni)

 

Per il momento Di Maio ha fallito. Infatti (almeno fino al momento in cui viene scritta questa nota) Di Maio non è riuscito a far saltare la trattativa tra PD e M5S per dare vita al nuovo governo. Eppure ci ha provato in tutti i modi, enfatizzando le altrui divisioni, facendo finta di non vedere quelle sempre più evidenti in casa propria e ponendo diversi ostacoli su un cammino che già non si presentava facilissimo.

Perfino l’aver superato l’ostacolo della riproposizione di Giuseppe Conte come Presidente del Consiglio è stato visto da Di Maio come una minaccia alla sua leadership interna al Movimento, visto che ciò corrisponde a certificare, anche in modo plastico, il fallimento e l’archiviazione della fase di collaborazione con la destra leghista che vedeva come protagonista lo stesso Luigino.

A questo punto è arrivata la rivendicazione per se stesso di ben due posizioni di grande peso politico (Vice Premier più un ministero importante) e l’uso dell’arma segreta chiamata Rousseau, ovvero la votazione delle scelte politiche attraverso la piattaforma digitale del Movimento.

Che tale scelta sia del tutto strumentale è dimostrato non tanto dal voler fare una verifica con i propri iscritti alla piattaforma, quanto dalla scelta dei tempi per tale verifica; perché l’idea di Rousseau non è stata lanciata con qualche giorno di anticipo, prima di entrare nel vivo della trattativa politica con il Partito Democratico?

E’ infatti quantomeno uno sgarbo istituzionale annunciare tale verifica a poche ore dal colloquio al Quirinale, perché ciò rischia di rendere di fatto “sub iudice” tutto ciò che verrà eventualmente concordato con il Presidente della Repubblica.

Di Maio è sempre più isolato e prigioniero di se stesso e lo è dal 20 agosto, ovvero da quel martedì in cui Conte con il suo intervento al Senato ha sancito la fine del rapporto con la Lega; parlava a Salvini, affinché Di Maio ascoltasse. In seguito i due si sono ancora parlati, cercati e corteggiati sperando di superare lo scoglio politico per motivi che attengono più alle convenienze personali che agli interessi del Paese. A questo punto la scorciatoia delle convenienze si evita mettendo in campo il massimo senso di responsabilità possibile; e chi è in grado di farlo ha anche il dovere di farlo.