(di Massimo De Simoni)
(nota già pubblicata su Agire Polis)

Nella triste e drammatica vicenda ucraina ha ormai poco senso fare previsioni sulle reali intenzioni di Putin; forse neanche lo stesso Putin oggi potrebbe scommettere sugli sviluppi di un conflitto che diventa di giorno in giorno sempre più imprevedibile rispetto all’esito finale. E anche questa volta, come in tutte le guerre, lo scontro passa anche attraverso lo strumento della disinformazione.

In questa situazione non si sentiva davvero l’esigenza di fare i conti (ancora oggi!) con una stucchevole ed inaccettabile equidistanza tra aggressori ed aggrediti, con toni che sembrano addirittura avallare l’idea di una NATO minacciosa per la Russia, fino al punto di giustificare in qualche modo l’intervento militare di Mosca.

E’ invece necessario ricordare il carattere assolutamente difensivo dell’alleanza atlantica, testimoniato dai settantatre anni di sua esistenza durante i quali non ha mai invaso o aggredito altri paesi. Per questo è assolutamente fuori luogo ogni confronto con la crisi dei missili a Cuba; quei missili – come racconta la storia – non avevano certamente uno scopo di carattere difensivo. Altri ‘pseudo-argomenti’ nei quali ci si imbatte riguardano le qualità del premier ucraino Zelensky, come se le valutazioni sulle scelte fatte dagli elettori ucraini potessero diventare oggetto di un dibattito al termine del quale qualcuno si può ritenere legittimato ad aggredire ed invadere il paese per instaurarvi un governo diverso.

Questo è incompatibile con la cultura democratica e liberale che caratterizza la storia dei moderni stati occidentali. Davanti a noi campeggia un grande interrogativo sul comportamento dell’Unione europea di fronte ad una azione violenta che potrebbe diventare ancora più cruenta nei prossimi giorni; è immaginabile che l’UE di fronte al massacro di un popolo, al bombardamento di città ed ospedali, metta in campo solo buoni propositi e dichiarazioni di principio? E’ un interrogativo difficile al quale non ci si può sottrarre, perché dobbiamo aver chiaro che l’aggressione di Putin è rivolta solo nominalmente verso l’Ucraina, ma il vero conflitto è con l’Europa e con l’occidente politico del mondo e per questo la soluzione (se e quando arriverà) non dipenderà da una trattativa che riconosca alla Russia qualche chilometro in più o in meno del territorio ucraino.

Putin vuole ricreare un assetto politico territoriale che faccia riguadagnare alla Russia il rango di potenza mondiale e per raggiungere questo obiettivo non ha esitato a sdoganare l’uso della forza militare nel teatro europeo. Se questo è il disegno, il conflitto rischia di non essere breve e forse neanche facilmente circoscrivibile ad una sola e specifica area.

Anche per questo non si può negare un sostegno concreto al popolo ucraino che si trova sotto attacco senza alcuna plausibile giustificazione; la decisione di inviare il materiale necessario per sopravvivere e per resistere all’invasore è un atto politicamente dovuto da parte dei paesi europei occidentali. Anche chi si riconosce pienamente nelle parole della Costituzione sull’assoluto ripudio della guerra, deve avere chiaro che la difesa della pace e della democrazia ha sempre richiesto sacrifici e sofferenza; e la storia ce lo insegna!

Gli oltre settantacinque anni di assenza di conflitti in Europa ci avevano forse illuso che la pace fosse un dato acquisito, senza necessità di una costruzione quotidiana; ma le bombe cadute in Ucraina hanno bruscamente risvegliato in tutti noi la paura di un conflitto europeo, con il carico di riflessioni e scelte difficili per un’Europa che pensava di aver cancellato per sempre la guerra dalla propria storia attuale e futura.

Già in altre occasioni si è ragionato sull’efficacia delle democrazie nella gestione dei paesi e delle emergenze (vedi nota “Educare alla democrazia”), un tema sempre aperto con il quale ci dobbiamo confrontare fino in fondo, se vogliamo che pace e democrazia diventino dei valori condivisi da tutti.

Potrà sembrare anche scontato – ma non proprio inutile in questo momento – riaffermare che la guerra non può mai essere uno strumento politico e che la pace è l’unica strada possibile per la civile convivenza tra i popoli. Gli stati democratici non aggrediscono o invadono altri paesi, ma non possono neanche legittimare delle intollerabili equivalenze tra aggrediti ed aggressori.